Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/189


177


eccolo che viene.» A tali parole, mia madre uscì dicendo: — Ov’è mio figlio?» Io arrivava in quel momento. Quand’essa mi vide, si lasciò cadere svenuta su di me, e tutte le donne si misero a gridare; mio padre uscì subito, mi strinse fra le sue braccia, trasportato di gioia, e dimandommi ov’era stato da sette giorni. Io gli dissi d’essermi ammogliato e rimasto presso la mia sposa. Mio padre, attonito, mi chiese chi questa fosse. Io risposi ch’ella era d’impareggiabil beltà, ma che ignorava a chi appartenesse. Uno degli astanti disse allora a mio padre: — È inutile interrogarlo: non vedete che abito indossa? Mai alcuno ne portò di simili; non può essere che opera dei geni che l’hanno rapito, ed abbigliato di tal guisa; ma egli non sa ove l’abbiano condotto.» Tutti furono colpiti da quella riflessione: tacquero e non mi fecero più alcuna dimanda.

«Io rimasi due giorni co’ miei genitori: il terzo dissi a mio padre che desiderava andare alla bottega. Egli acconsentì, e venne meco. Quando fui seduto, m’accorsi che tutti i passanti si fermavano a guardarmi, dicendo: — Ecco il giovane che i geni hanno rapito.» Non cessarono di venire a guardarmi così per tutto il giorno; la domane ed i dì seguenti fu sempre lo stesso. Dopo i sette giorni, vidi giungere la vecchia; chiusi la bottega e la seguii. Ella mi bendò gli occhi come la prima volta, e mi prese per mano. Allorchè entrai nella casa, la mia sposa alzossi, mi venne incontro, e si mostrò molto lieta di rivedermi. Io le raccontai ciò ch’era accaduto durante la mia assenza; ella parve commossa dell’afflizione de’ miei genitori, e della gioia da essi dimostrata rivedendomi; ma non potè astenersi dal ridere sul preteso rapimento fatto dai geni.

«Scorsi dieci giorni presso la mia sposa, io le chiesi di nuovo il permesso d’andar a trovare i