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NOTTE CDXXXVII


— «Io rimasi, per molti giorni, in una specie d’ebbrezza, tutto immerso nella mia felicità, non pensando che a bere, mangiare e divertirmi, dimenticando, vicino alla mia sposa, tutto il resto della terra. Dopo sette giorni, non potei trattenermi dal pensare a mia madre; desiderai vivamente di rivederla, e piansi, al pensiero di esserne separato per sempre. Mia moglie si accorse delle mie lagrime, e me ne chiese la cagione.

«— Io piango,» le risposi, «per vedermi separato da una madre che non ho abbandonata dalla più tenera infanzia, che mi faceva dormire vicino a lei, e non gustava riposo se non quando era addormentato contro il suo materno seno. Sono ormai sette giorni ch’ella non mi vede; non so come avrà potuto sopportare tale assenza.

«— Non siamo convenuti,» soggiunse la mia sposa, «che la nostra porta si aprirebbe una sol volta all’anno? — È vero, ma ora sento com’è duro il trovarsi separato dalla madre: vorrei soltanto vederla, e passare un giorno presso di lei. Come mai un giorno solo, consacrato alla tenerezza materna, potrebbe alterare la nostra felicità? —

«La mia sposa mi disse: — Acconsento volentieri a soddisfarvi; andate a trovar vostra madre; ma che la vecchia vi accompagni e vi bendi gli occhi. — Sia pure,» ripigliai; «io mi farò sempre un dovere di accondiscendere alle vostre minime brame. — In tal caso,» aggiuns’ella, «voi potrete restare sette