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m’è destinata?» Il carteggio s’avanzò. Mi fecero entrare in una magnifica sala, nel cui mezzo sorgeva un trono; vi fui fatto salire, e le schiave mi circondarono tenendo in mano le fiaccole. La mia sposa entrò, seguita dal corteggio, e venne a sedermi vicino. La vecchia ne fece allora portare una stupenda cena; in fine, fe’ vestire tutte le schiave, uscì anch’ella, e chiuse la porta.

«Volli allora conversare colla mia sposa e dirigerle la parola, ma essa mi prevenne, dicendo: — Amico mio.....» A tali parole, mi sentii preso da tenerezza, e non potei trattenermi dal dirle: — Mia cara amica, come siete bella. — Amico,» continuò ella con un legger sorriso, «il dono del mio cuore dipende da un’ altra condizione: se mi promettete di adempirla, sarò vostra; altrimenti riterrete tutto ciò che avvenne finora come non fosse accaduto.

«— Qual è codesta condizione?» le chiesi. «Non avvene, a mio credere, alcuna alla quale io non mi sottoponga per aver la felicità di possedervi. — La nostra porta,» ripres’ella, «non sarà aperta che un sol giorno all’anno. Accettate voi tale condizione? — L’accetto,» risposi. — Io ho,» continuò la giovane, «molte schiave; ma tutte le volte che volgerete loro una sola parola assolutamente non necessaria, mi vedrete sdegnata con voi. — Accetto volontieri tutte queste condizioni,» soggiunsi. Ella acconsentì allora a riguardarmi come suo sposo, e noi passammo insieme la notte.»

Scheherazade fu interrotta dall’arrivo del giorno, con sommo dispiacere del sultano e di sua sorella, cui quella storia dilettava assai. Ella ne ripigliò il filo all’indomani, continuandola nel corso delle notti consecutive secondo il solito.