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«— Varie dame,» le dissi, «comperarono da me per cinquecento piastre di stoffe, le portarono via senza pagarmi, ed io non le conosco. — Non bisogna accerarsi così,» disse mia madre; «per guadagnare fa d’uopo saper qualche volta perdere. Se quelle donne non verranno a portarti il valore delle tue merci, te le pagherò io: perciò consolati, sta tranquillo, ma d’or innanzi rifletti a quel che fai. — Non voglio nulla,» le risposi. «Lasciatemi stare.» Io era tanto afflitto, che quella sera non mangiai; mi chiusi nella mia camera, e m’addormentai riflettendo a quel disgustoso caso.

«All’indomani andai al mercato, apersi la bottega, e vi rimasi fino a sera senz’alcuna nuova delle dame che m’avevano portate via le merci. Io tornai a casa ancor più melanconico della sera precedente.

«— Figlio,» disse mia madre al vedermi, «non bisogna più pensare a quello che è accaduto; temo che tu non cada ammalato pel dispiacere: non s’impara che a proprie spese.» Mia madre aveva un bel consolarmi; io non gustava alcun conforto, e passai così tre giorni nella maggior afflizione.

«Il quarto, apersi di buon’ora la bottega, secondo il solito. Appena fui seduto, le stesse dame entrarono d’improvviso, augurandomi il buon giorno. Stimai sulle prime che fossero altre persone. — Dateci il conto,» mi disse allora una di loro. — Che conto? — Il conto di quello che vi dobbiamo: siamo venute a pagarvi. —

«A tali parole, l’animo mio si calmò, il mio viso rasserenossi. Esse mi contarono le cinquecento piastre; io le presi e le misi sotto chiave. — Noi vorremmo,» soggiunsero quindi le dame, «acquistarne altre.» Consegnai loro tutto quello che desiderarono, ed esse lo portarono via come la prima volta. La sera, chiusi la bottega e tornai tutto giulivo a casa. Mia madre,