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«— Che male? ha fatto saccheggiare la nostra casa: ci furono portati via i mobili, gli effetti, tutto quello che possedevamo, non lasciandoci un solo vestito, nè di che comperarci un pezzo di pane; e se Dio non vi avesse mandato, saremmo morte di fame.

«— Perchè il califfo vi trattò in questo modo?

«— Mio figlio è uno de’ suoi hageb. Un giorno, ch’egli stava qui seduto, udì bussare; corre alla porta, e vede due donne che gli domandano acqua da bere; egli ne dà loro, e quelle, se ne vanno. Un’ora dopo, una vecchia gli porta un piatto di focacce da parte della persona cui avea dato da bere; le accetta. La guardia del quartiere passa di qui, egli chiede qualche cosa, essendo il giorno della festa dell’Arafa: mio figlio gli dona il piatto di focacce. Un’ora dopo, una torma di soldati viene da parte del califfo: conducono via mio figlio e depredano la nostra casa. Il califfo vuol sapere come sia capitato a mio figlio il piatto delle focacce: egli lo dice. Il sovrano gli domanda se ha veduto qualcuno dei vezzi della giovane. Egli voleva dire di no; ma tutto turbato com’era, rispose senza pensarvi di averne veduto il volto. Il califfo fe’ venire la giovine ed ordinò di decapitarli entrambi. Ma non volendo far eseguire la sentenza in giorno di festa, li mandò in prigione. Ecco come ci ha trattati, e senza tal ingiustizia e la perdita di mio figlio, tu non avresti mai sposata mia figlia. —

«Aaron, uditi i lamenti della vecchia, riconobbe l’ingiustizia commessa, e rispose: — Che cosa direste voi s’io impegnassi il califfo a far mettere in libertà vostro figlio, a rendergli i suoi beni, a dargli un impiego più distinto, e se codesto caro figlio venisse questa notte medesima a gettarsi nelle vostre braccia? —

«La donna non potè trattenersi dal sorridere all’idea di rivedere il figliuolo, ma ricadendo tosto