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«Il califfo rise, e diede l’anello alla vecchia. Questa andò fino alla porta, pensando tra sè: — Io schiuderò un poco la porta per dar loro l’anello, e se essi non ascoltano ciò ch’io debbo dir loro da parte del ladro, la rinchiuderò come prima.... Che cosa volete voi dunque?» gridò ella poscia con forza. — Infame vecchia, abbominevole maga,» rispose Schamama, «noi vogliamo prendere il ladro che si trova in casa tua, tagliargli una mano ed un piede, e vedrai in qual guisa ti tratteremo in seguito. —

«La vecchia, spaventata, domandò se qualcuno d’essi sapesse leggere. — Sì,» disse il luogotenente inoltrandosi. — Eccovi un sigillo, guardate ciò che vi è scritto, e qual è il nome dell’uomo cui appartiene. — Che il diavolo porti il sigillo e chi n’è il padrone!» disse Schamama. Poscia, volgendosi al luogotenente di polizia: «Appena la vecchia comparirà,» gli disse, «battetela, gettatela per terra, e fateci entrare nella casa; noi prenderemo il ladro, e poi vedrete di chi è il sigillo; e se appartiene a qualcuno cui noi dobbiamo rispetto, diremo di non averlo veduto se non quando il male era già fatto; nessuno potrà sostenere il contrario. —

«Ciò dicendo, Schamama si avvicinò alla porta, e disse alla donna: — Dammi quell’anello, e vediamo se potrà salvarti.» La vecchia schiuse alquanto la porta per far passare la mano, e glielo consegnò. Egli lo prese, e passollo al luogotenente di polizia. Questi, riconoscendo l’anello d’Aaron Alraschild, cangiò di colore, e tremò per tutte le membra. — Che cos’hai?» disse Schamama. Il magistrato, per risposta, gli presentò l’anello: l’avvicinò egli ad una fiaccola, e non potè far a meno di riconoscere, malgrado i suoi trasporti, l’anello del califfo. Tosto cadde al suolo, gridando: — Aiuto, aiuto!»