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gotenente di polizia coi suoi soldati, il giovane mercante vicino a lui, ed udì la maggior parte degli ufficiali che gridavano: — Gettiamo giù la porta, prendete la vecchia, e torturatela per farle confessare ov’è il ladro, suo genero.»


NOTTE CDXXXIII


— Il solo Hassan si sforzava invano di contenere quella moltitudine arrabbiata, dicendo: — Bravi compagni, rispettate le leggi che voi dovete far osservare, e non precipitate nulla. Sono donne, non hanno presso di sè alcun uomo, e non maltrattatele. Forse il denunciato non è un ladro, e quest’affare può avere per noi tristi conseguenze. — Hassan,» gridò Schamama, «tu non sei fatto per accompagnare un luogotenente di polizia, ma piuttosto per sedere sul banco dei giudici. Nella nostra professione vuolsi gente destra, determinata, accanita alla preda, adatta ad un colpo di mano, ed a sorprendere chi si vuol arrestare.

«Maledetto Schamama,» diceva fra sè il califfo, ascoltando quelle parole, «io ti ricompenserò come meriti.» Nello stesso tempo, scorse vicino alla casa, ove abitava la vecchia, una via senza uscita; vi entrò e vide una gran porta dinanzi alla quale scorgevasi una tenda ed una lampada sospesa: da una parte stava seduto un eunuco. Il padrone di quel palazzo era uno degli emiri del califfo che comandava mille soldati; si chiamava l’emiro Iounis. Era uomo duro e feroce, e che, quando non aveva maltrattato alcuno nel corso del dì, non mangiava per la rabbia.