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consueta maniera di vivere; ed essendo la caccia il loro ordinario divertimento, montati a cavallo, vi andarono per la prima volta del loro ritorno, non nel proprio parco, ma a due o tre leghe lontano di casa. Or mentre sollazzavansi così, il sultano di Persia sopraggiunse cacciando anch’egli nel medesimo sito da essi prescelto. Appena pertanto, dal gran numero di cavalieri comparsi in più luoghi, furonsi i giovani avviati ch’egli fra poco sarebbe giunto, presero il partito di cessare, e ritirarsi per evitarne l’incontro; ma fu appunto nella via da loro presa a tal uopo, che lo incontrarono in sito sì angusto, che non potevano sviarsi, nè tornar indietro senza essere veduti. Nella loro sorpresa, ebbero appena il tempo di scendere di sella e prosternarsi davanti al sultano, colla fronte sino a terra, senza alzare il capo per rimirarlo. Ma il sultano, vedendoli ben montati ed elegantemente vestiti come se fossero stati della sua corte, fu curioso di mirarli in volto, talchè fermatosi, comandò loro di rialzarsi.

«Alzaronsi i giovani, e stettero davanti al sultano, con aria libera e sciolta, accompagnata però da un contegno modesto e rispettoso. Il monarca, consideratili alcun tempo dalla testa sino ai piedi, senza parlare, dopo averne ammirato il bell’aspetto ed il portamento, domandò loro chi fossero e dove dimorassero.

Bahman, pigliando allora la parola:

«— Sire,» disse, «noi siamo figli dell’intendente dei giardini di vostra maestà, ultimamente mancato ai vivi, ed abitiamo in una casa da lui fatta edificare poco tempo innanzi la sua morte, affinchè vi facessimo dimora, attendendo d’essere in età di servire la maestà vostra, e chiederle impiego quando se ne presentasse l’occasione.

«— Da quanto veggo,» ripigliò il sultano, «voi