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ventura di rivedervi colla soddisfazione che ne attendiamo.»

L’alba comparve, e la sultana fu costretta a rimandare alla notte successiva il seguito del racconto.


NOTTE CDXXI


— Sire,» disse la dimane Scheherazade a Schahriar, «il principe Perviz partì, ed il vigesimo giorno del suo viaggio incontrò il medesimo dervis nel sito dove avevalo trovato Bahman. Gli si accostò, e salutatolo, lo pregò d’insegnargli, se lo sapesse, il luogo nel quale trovavansi l’uccello che parla, l’albero che canta e l’acqua gialla. Il dervis fecegli le medesime difficoltà e le rimostranze stesse fatte a Bahman, sino a dirgli esser pochissimo tempo che un giovane cavaliere, al quale molto somigliava, aveagli chiesta la stessa strada; che, vinto dalle sue istanze pressanti e dall’importunità sua, glie l’aveva mostrata, dandogli di che servirsi di guida, e prescritto ciò che dovesse osservare per riuscire nell’impresa; ma che non avevalo più veduto tornare, talchè non c’era dubbio che non avesse incontrato il medesimo destino di tutti i suoi predecessori.

«— Buon dervis,» riprese il giovane, «so chi è quello del quale mi parlate: era mio fratello primogenito, e sono con certezza informato che è morto. Ma di qual morte, è ciò che ignoro. — Posso dirvelo io,» rispose il dervis; «è stato cambiato in sasso nero, come quelli che accennai, e dovete attendervi alla medesima metamorfosi, a meno che non osserviate più