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viaggio, la principessa Parizade, la quale portava alla cintura, entro il fodero, il coltello da lui lasciatole per essere informata se fosse morto o vivo, non aveva mancato di sguainarlo e consultarlo anche più volte al giorno, provando, di tale guisa, la consolazione di sapere ch’ei trovavasi in perfetta salute, e discorrere frequentemente di lui col principe Perviz, il quale la preveniva talvolta, domandandogliene notizia.

«Il giorno fatale in fine, in cui Bahman venne trasformato in pietra, mentre il principe e la principessa intertenevansi di lui verso sera, secondo il solito: — Sorella,» disse Perviz, «sfoderate, ve ne prego, il coltello, e sappiamo sue nuove. —

«Lo sguainò la principessa, e guardandolo, il videro grondante di sangue all’estremità. La giovine, colta d’errore e spavento, gettò il coltello.

«— Ah, mio caro fratello!» vi sclamò; «ti ho dunque perduto, e per colpa mia! Non ti rivedrò, più mai! Ahi me misera! Perchè ti ho io favellato dell’uccello che parla, dell’albero che canta e dell’acqua gialla? o piuttosto, che importava a me di sapere se quella divota trovasse bella o brutta questa casa, compita o non compita? Avesse voluto Iddio che colei non si fosse mai sognata d’accostarvisi! Ipocrita, ingannatrice,» soggiunse, «dovevi tu contraccambiare in tal modo l’accoglienza che ti usai? Perchè mi parlasti d’un uccello, d’un albero e d’un’acqua, che, per quanto siano immaginarii, com’io suppongo per la disgraziata fine d’un diletto fratello, non lasciano di turbarmi ancora lo spirito per le tue malie? —

«Perviz non fu meno dolente della sorella per la morte di Bahman; ma senza perder il tempo in vane doglianze, avendo compreso, dalle lamentazioni della fanciulla, ch’ella mai sempre appassionatamente bramava d’aver in suo potere le summentovate straor-