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tata da un ubbriaco; e quella, battendo nel muro, andò in mille pezzi. Sceich Ibrahim allora, più furibondo di prima per aver fallito il colpo, prese la candela dalla tavola, alzossi barcollando, e scese per una scaletta segreta in cerca d’un bastone.»

Mentre la sultana finiva queste parole, l’aurora che sorgeva, avverti Schahriar esser tempo di alzarsi, per andar a presiedere al consiglio. La notte seguente Scheherazade ripigliò il racconto in codesti sensi:


NOTTE CCXLVIII


— Sire, il califfo approfittò del momento, per battere ad una finestra le mani, e tosto il gran visir, Mesrur ed i quattro camerieri vennero a lui, e quest’ultimi gli ebbero in un momento cavato l’abito da pescatore, e messo l’altro recato per lui. E non avevano ancora finito, occupandosi intorno al califfo, seduto sul trono che stava nel salone, quando Sceich Ibrahim, spronato dall’interesse, entrò con una grossa canna in mano, colla quale promettevasi di trattar a dovere il finto pescatore. Invece d’incontrarlo, vide il suo abito nel mezzo del salone, ed il califfo assiso sul trono, col gran visir e Mesrur ai lati. A quello spettacolo si fermò, dubitando se fosse desto o dormisse. Il califfo si mise a ridere del suo stupore, — Sceich Ibrahim,» gli disse, «che vuoi? cosa cerchi? —

«Il vecchio, il quale non poteva più dubitare che non fosse il califfo in persona, gli si buttò immediatamente a’ piedi, colla faccia e la lunga sua barba contro terra. — Commendatore de’ credenti,» sclamò egli, «il vostro vilissimo schiavo vi ha offeso; egli