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preso al vedere il padiglione tutto illuminato, tanto più che pel gran chiarore, credè alla prima che fosse scoppiato qualche incendio in città. Stava ancora con lui il gran visir Giafar, il quale aspettava il momento che il califfo si ritirasse per tornarsene a casa. Questi lo chiamò in grandissima collera. — Visir negligente,» gridò, «vien qua, accostati, guarda il padiglione delle pitture, e dimmi perchè sia illuminato a quest’ora quand’io non ci sono. —

«Tremò il gran visir a quella notizia, per tema che ciò non fosse vero, ed avvicinatosi, tremò viemaggiormente quand’ebbe veduta la verità di quanto il califfo avevagli detto. Bisognava tuttavia trovare un pretesto per calmarlo. — Commendatore dei credenti,» gli disse, «non posso dir altro su ciò a vostra maestà, se non che venuto Sceich Ibrahim, tre o quattro giorni sono, a presentarsi a me, mi manifestò d’aver intenzione di fare un’assemblea dei ministri della sua moschea per una certa cerimonia, che compiacevasi di celebrare sotto il felice regno di vostra maestà. Gli chiesi cosa desiderasse ch’io facessi per servirlo in simile occasione; ed egli mi supplicò di ottenere da vostra maestà che gli fosse permesso di tener l’assemblea e fare la cerimonia nel padiglione. Lo rimandai dicendogli che poteva farlo, e che non mancherei di parlarne a vostra maestà. Le chieggo perdono di averlo dimenticato. Sceich Ibrahim probabilmente,» continuò egli, «ha scelto questo giorno per la cerimonia, e convitando i ministri della sua moschea, volle senza dubbio dar loro il piacere di quella illuminazione.

«— Giafar,» ripigliò il califfo con un accento denotante di essere alquanto placato, «stando a quello che mi dici, tu hai commesso tre falli imperdonabili. Il primo, di aver permesso a Sceich Ibrahim di fare la sua cerimonia nel mio padiglione: un sem-