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e cominciarono a bere ciascuno un sorso; trovato il vino eccellente: — Or bene, mia cara,» disse allora Noreddin alla Bella Persiana, «non siamo noi la gente più felice del mondo per ciò che il caso ci abbia condotti in un luogo sì ameno e delizioso? Stiamo allegri, e rimettiamoci dai patimenti del nostro viaggio. Può la mia felicità essere maggiore, avendo voi da una parte e la tazza dall’altra?» Bevettero molte altre volte, intertenendosi piacevolmente, e cantando ciascuno la sua canzone.
«Siccome entrambi avevano la voce assai gradevole, e specialmente la Bella Persiana, il loro canto attirò Sceich Ibrahim, il quale li ascoltò un buon pezzo dalla scalèa, senza mostrarsi, con grandissimo diletto. Si fece vedere alla fine, avanzando la testa entro la porta. — Coraggio, signore,» diss’egli a Noreddin, cui credeva già ubbriaco; «sono lieto di vedervi tanto allegro.
«— Ah, Sceich Ibrahim!» sclamò il giovane, a lui volgendosi; «che brav’uomo siete voi, e quanto vi siamo obbligati! Non osiamo pregarvi di berne un bicchiere, ma non lasciate per questo di entrare. Venite, avvicinatevi, e fateci almeno l’onore di tenerci compagnia. — Continuate, continuate,» riprese il custode, «io mi contento del piacere di udire le vostre belle canzoni!» E sì dicendo, scomparve.»
L’aurora cominciava a comparire, quando Scheherazade cessò dal racconto; e con licenza del sultano, ne rimandò la continuazione alla notte susseguente.