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conda domanda, e ne parve un po’ sconcertato. — Se dico che non è mio,» pensò fra sè, «mi domanderanno subito come possa essere che io sia padrone del giardino, e non lo sia del padiglione.» Ora, siccome aveva voluto fingere che il giardino fosse suo, finse la medesima cosa riguardo al padiglione. — Figliuolo,» rispose, «il padiglione non istà senza il giardino; entrambi mi appartengono. — Se così è,» tornò allora a dire il giovane, «e se vi degnate di averci per vostri ospiti stanotte, fateci la grazia, ve ne supplico, di mostrarcene l’interno: a giudicarne dall’esteriore, debb’essere d’una magnificenza straordinaria. —

«Sarebbe stata un’inciviltà per Sceich Ibrahim di negare a Noreddin il piacere che gli domandava, dopo quanto aveva già fatto; e considerando inoltre che il califfo non avevalo mandato ad avvertire com’era solito, talchè pensava non verrebbe in quella sera, e poteva anche farvi mangiare i suoi ospiti e mangiarvi egli stesso con loro, depose i cibi portati sul primo gradino della scalea, e corso a prendere la chiave nel luogo ove dimorava, ne tornò in breve con un lume, ed aprì la porta...

«Noreddin e la Bella Persiana, entrati nel salone, lo trovarono sì sorprendente, che non potevano stancarsi d’ammirarne la bellezza e la ricchezza. Infatti, senza parlare delle pitture, i sofà erano magnifici; ed oltre ai lampadari appesi ad ogni finestra, scorgevansi ancora sulla parete, fra queste, un bracciale d’argento colla sua bugia; Noreddin non potè vedere tutti quegli oggetti senza ricordarsi dello splendore in cui aveva vissuto, e senza sospirare.

«Sceich Ibrahim intanto imbandì le vivande sopra un sofà, e quando tutto fu pronto, Noreddin, la Bella Persiana ed egli sedettero e mangiarono insieme. Quand’ebbero finito e lavate le mani, Nored-