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avea donato il cuore e la fede, di morire piuttosto che darsi ad un sultano cui non amava, nè poteva amare.
«Il principe di Persia, al quale la donna non aveva in fatti altro da soggiungere, le chiese se sapesse cosa fosse avvenuto del cavallo incantato dopo la morte dell’Indiano. — Ignoro,» rispos’ella, «qual ordine possa aver dato il sultano intorno a ciò; ma dopo quanto glie ne ho detto, è presumibile che non l’abbia trascurato. —
«Siccome Firuz Schah non dubitò che il sultano di Cascemir non avesse fatto custodire accuratamente il cavallo, comunicò alla principessa il suo pensiero di servirsene per ricondurla in Persia, e convenuti insieme de’ mezzi da mettere in opra per riuscirvi, affinchè nulla potesse impedirne l’esecuzione, le raccomandò particolarmente che, invece di stare vestita come allora trovavasi, ella si abbigliasse alla domane per ricevere civilmente il sultano, quand’egli glie lo condurrebbe, senza però obbligarla a parlargli, poi se ne andò.
«Somma fu la gioia del sultano di Cascemir quando il principe di Persia gli ebbe riferito il buon esito operato sin dalla prima visita pel conseguimento della guarigione della principessa di Bengala; ed il giorno dopo lo considerò come il primo medico del mondo, poichè la donzella lo accolse in modo che lo convinse essere veramente assai avanzata la sua guarigione, com’ei gli aveva fatto intendere.
«Scorgendola in quello stato, si accontentò di manifestarle il sommo suo giubilo di trovarla sulla via di ricuperare in breve la perfetta salute, ed esortatala a concorrere con un medico sì abile a terminare ciò ch’erasi cominciato tanto bene, concedendogli tutta la sua confidenza, si ritirò senza attendere la risposta.