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«Salì Firuz Schah in quel luogo, e vide la sua amabile principessa seduta negligentemente, che cantava, colle lagrime agli occhi, un’arietta, nella quale deplorava il misero suo destino che la privava forse per sempre dell’oggetto teneramente amato. Intenerito dalla trista situazione in cui vedea la diletta fidanzata, il principe non ebbe uopo d’altri indizi per comprendere come la sua malattia dovesse essere finta, e fosse per amor suo ch’ella trovavasi in quella dolorosa situazione. Discese dunque dal gabinetto, e riferito al sultano di qual indole era la malattia e come non fosse incurabile, gli disse che, per giungere a guarirla, era indispensabile che le parlasse in particolare, e da solo a sola; quanto alle smanie in cui dava alla vista dei medici, sperava che lo avrebbe accolto ed ascoltato favorevolmente.»
NOTTE CCCXCII
Questa notte Scheherazade, destata più presto dalla sorella, ripigliò il racconto così:
— Sire, il sultano fece subito aprire la porta della camera della principessa, e Firuz Schah entrò. Appena la giovane lo vide comparire, siccome lo prese per un medico, di cui portava l’abito, balzò in piedi come furibonda, minacciandolo e vituperandolo con mille ingiurie. Ciò però non gl’impedì di accostarsi; e quando le fu abbastanza vicino per farsi intendere non volendo essere udito che da lei sola, le disse sottovoce e con viso rispettoso: — Principessa, non sono medico. Riconoscete in me, ve ne supplico, il principe di Persia che viene a liberarvi. —