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gar bene il viaggio a quelli che si recassero nella capitale di Cascemir, ed una magnifica ricompensa a chi guarirebbe l’inferma.
«Parecchi di que’ medici intrapresero il viaggio; ma niuno potè vantarsi di essere stato più felice di quelli della corte e del regno; nessuno valse a raddrizzarle il cervello, ciò non dipendendo da loro, nè dall’arie che professavano, ma dalla volontà della principessa medesima.
«Frattanto Firuz Schah, col mentito abito di dervis, aveva percorse parecchie province e le città principali con tanta maggior costernazione di spirito, senza mettere in conto le fatiche del viaggio, perchè ignorava se forse non tenesse una via opposta a quella che avrebbe dovuto prendere onde aver notizia di colei che cercava.
«Attento alle nuove che spacciavano in ogni luogo pel quale passava, giunse in fine in una grande città delle Indie, ove parlavasi molto d’una principessa di Bengala, impazzita nel giorno medesimo stabilito dal sultano di Cascemir per la celebrazione delle sue nozze con lei. Al nome di principessa di Bengala, supponendo tosto fosse quella che formava lo scopo del suo viaggio, con tanta maggior verisimiglianza, perchè non aveva udito esservi alla corte di Bengala alcun’altra principessa fuor della sua sulla fede del rumore comune ch’erasene sparso prese la strada della capitale di Cascemir. Al suo arrivo colà, albergò in un khan, dove subito il primo giorno seppe la storia della principessa di Bengala e la trista fine dell’Indiano (quale però se la meritava), che l’aveva condotta sul cavallo incantato: circostanza che fecegli conoscere, in guisa di non potersi ingannare, essere colei appunto ch’ei cercava; ed infine l’inutile spesa sostenuta dal sultano facendo venire tanti medici che non aveano potuta guarirla.