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lungo discorso onde persuadere al sultano che diceva il vero; la sua bellezza, l’aria principesca e le sue lagrime parlavano in di lei favore. Volle proseguire: ma il sultano di Cascemir, giustamente sdegnato dell’insolenza dell’Indiano, lo fece sul momento arrestare, e comandò gli fosse mozzata la testa. E quell’ordine fu con tanta maggior facilità eseguito, che l’Indiano, avendo commesso il ratto nell’uscire dalla prigione, non avea arme veruna per difendersi.

«La principessa di Bengala, liberata dalla persecuzione dell’Indiano, cadde in un’altra che non le fu meno dolorosa. Il sultano, fattala salire a cavallo, la condusse nel suo palazzo, dove assegnolle un appartamento il più magnifico dopo il proprio, e buon numero di schiave per servirla, con vari eunuchi per la sua guardia. La condusse egli medesimo a quell’appartamento, in cui, senza lasciarle tempo di ringraziarlo nel modo da lei meditato pel grande favore ch’essa gli doveva: — Principessa,» le disse, «non dubito non abbiate bisogno di riposo; vi lascio in libertà di prenderlo. Domani sarete in migliore stato d’intertenermi sulle circostanze della strana avventura che vi è accaduta.» Dette le quali parole, si ritirò.»

Lo spuntar dell’alba costrinse Scheherazade a rimandare alla notte seguente la continuazione del racconto.