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farlo pentire dell’affronto insigne che così gli faceva; gli volse mille imprecazioni, co’ suoi cortigiani, e tutti gli astanti testimoni d’insolenza così segnalata e di quell’incomparabile malvagità.
«L’Indiano, poco scosso da quelle maledizioni, il cui rumore giunse sino a lui, continuò la sua strada, mentre il sultano di Persia rientrò nel suo palagio, dolentissimo dell’atroce ingiuria, e di vedersi nell’impotenza di punirne l’autore.
«Ma qual non fu il dolore del principe Firuz Schah quando vide che sotto i propri occhi, senza poter porvi impedimento od ostacolo di sorta, l’Indiano rapivagli la principessa di Bengala, ch’ei tanto appassionatamente amava, da non poter più vivere senza di lei! A tal inaspettata vista, rimase come colpito dal fulmine; e prima ch’egli avesse deliberato se scatenarsi dovesse in ingiurie contro l’Indiano, o rammaricarsi della misera sorte della fidanzata, e chiederle perdono della poca cura presa per conservarla, ella ch’erasegli abbandonata in modo dinotante quanto ne fosse amato, il cavallo, che li trasportava entrambi con incredibile velocità, avevali già sottratti alla sua vista. Qual partito prendere? Tornerà egli al palazzo del genitore a rinchiudersi nel suo appartamento ed immergersi nell’afflizione, senza darsi alcun pensiero di correre in traccia del rapitore, liberare dalle sue mani la principessa, e punirlo come meritava? La sua generosità, l’amore, il coraggio suo noi consentivano, talchè proseguì alla volta del palazzo di delizie.
«Al di lui arrivo, il custode, già avvistosi della propria credulità, e d’essersi lasciato gabbare dall’Indiano, si presenta al principe colle lagrime agli occhi, si getta a’ suoi piedi, si accusa da sè della colpa che crede aver commessa, e si condanna alla morte, aspettandola dalle di lui mani.