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tu stai per batterli, e non consideri che sono forse stranieri, i quali non sanno dove alloggiare, ed ignorano i voleri del califfo: è meglio che tu sappia prima chi essi siano.» Sollevò il fazzoletto, che copriva loro la testa, con precauzione, e maravigliò al sommo vedendo un giovane sì ben fatto ed una donna tanto bella. Svegliò Noreddin, tirandolo pei piedi.
«Il dormiente alzò tosto la testa, e veduto un vecchio con lunga barba bianca a’ suoi piedi, si levò a sedere in ginocchio, e presagli la mano e baciandogliela: — Buon padre,» gli disse, «Dio vi conservi! bramate qualche cosa? — Figlio,» rispose Sceich Ibrahim, «chi siete voi? d’onde venite? — Siamo stranieri testè arrivati,» ripigliò Noreddin, «e volevamo passar qui la notte fino a domani. — Stareste male in questo luogo,» replicò il vecchio; «venite, entrate, vi darò da dormire più comodamente; e la vista del giardino, ch’è bellissimo, vi rallegrerà mentre avvi ancora un po’ di chiaro. — E questo giardino è vostro?» gli chiese Noreddin. — Oh sì, è mio davvero,» rispose il vecchio sorridendo; «è un’eredità che feci da mio padre. Entrate, vi dico, non vi spiacerà di vederlo. —
«Noreddin si alzò, attestando a Sceich Ibrahim quanto gli fosse grato della di lui cortesia, ed entrò nel giardino colla Bella Persiana. Il custode chiuse la porta, e camminando davanti a loro, li condusse in un luogo d’onde potevano abbracciare alla prima occhiata la disposizione, la grandezza e leggiadria del giardino.
«Noreddin aveva veduto giardini assai belli a Balsora, ma non ricordavasi d’averne trovati di paragonabili a questo; talchè, quando ebbelo ben considerato, e passeggiato per alcuni viali, si volse al custode che lo accompagnava, e gli chiese come si chiamasse. Rispostogli l’altro di chiamarsi Sceich Ibrahim: