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NOTTE CCCLXXX


L’indomani, la sultana, continuando il suo racconto:

— Sire,» disse, «non si può esprimere quanto il califfo Aaron-al-Raschid ammirasse la saviezza e lo spirito del giovinetto, il quale aveva pronunziato un giudizio sì saggio sull’affare che doveva trattarsi la domane al di lui cospetto. Cessando di guardare per la fessura ed alzandosi, domandò al gran visir, stato anch’egli attento a quant’era accaduto, se avesse inteso il giudizio proferito dal fanciullo, e cosa ne pensasse.

«— Commendatore de’ credenti,» rispose Giafar, «non si può essere più stupiti ch’io nol sia di tanta saggezza in età sì poco avanzata.

«— Ma,» riprese il califfo, «tu non sai una cosa, che domani, cioè, io devo giudicare sul medesimo argomento, avendomene oggi il vero Alì Kodjah presentata l’istanza. — Lo sento da vostra maestà,» rispose il gran visir. — Credi tu,» tornò a dire il califfo, «ch’io possa dare un giudizio diverso da quello che abbiamo testè inteso? — Se l’affare è lo stesso,» rispose il gran visir, «a me non pare che vostra maestà possa procedere altrimenti, nè pronunziar diversamente. — Nota dunque bene questa casa,» gli disse il califfo, «e domani conducimi il ragazzo, affinchè giudichi la causa in mia presenza. Ordina anche al cadì che mandò assolto il mercante ladro, di trovarvisi anch’egli, acciò impari da un fanciullo il suo dovere: e si corregga. Voglio ancora,