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impiegata a comprar questa, ma invece di condurla a vostra maestà, non ve ne giudicò degno, e la donò a suo figliuolo. Dopo la morte del padre, il figlio bevve, mangiò e scialacquò il patrimonio, e non gli rimase che questa schiava, cui infine risolse di vendere, e che infatti si vendeva a suo nome. L’ho fatto venire, e senza parlargli della prevaricazione, o piuttosto della perfidia di suo padre verso vostra maestà: «-«Noreddin,» gli dissi colla maggior civiltà del mondo, «i mercatanti, come sento, hanno messa la vostra schiava all’incanto per quattro mila pezze d’oro. Non dubito che a gara l’un dell’altro non la facciano salire ad un prezzo molto maggiore; credetemi, datela a me per le quattromila pezze d’oro, ed io la compro per donarla al re nostro signore e padrone, al quale ne farò per voi la corte. Ciò vi gioverà infinitamente più di quello che dar ve ne possano i mercanti.»-» Invece di rispondere, rendendomi cortesia per cortesia, l’insolente mi guatò con fierezza. «-«Brutto vecchiaccio,» mi disse, «darei la schiava ad un Ebreo per nulla, piuttosto che venderla a te. — Ma, Noreddin,» ripigliai io, senza riscaldarmi, benchè ne avessi grande motivo, «voi non considerate, parlando così, che ingiuriate il re, il quale innalzò vostro padre a ciò ch’egli era, come innalzò anche me a quello che sono.»-» Tale rimostranza, invece di raddolcirlo, non fece che vie più irritarlo; mi si è subito scagliato addosso come un furioso, senza veruna considerazione per la mia età, ed ancor meno per la dignità mia; mi gettò giù da cavallo, e mi battè a tutta possa fin che gli piacque, mettendomi nel miserando stato in cui mi vede. Supplico la maestà vostra a voler considerare, essere pe’ suoi interessi ch’io soffro sì sanguinoso affronto. —
«Terminando tali parole, chinò la testa, e si volse