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NOTTE CCXLIII


— Sire,» proseguì la sultana, «Sauy, affranto dai colpi, si rialzò, coll’aiuto della sua gente, benchè con grande stento, e fu nell’ultima mortificazione vedendosi tutto lordo di fango e di sangue. Si appoggiò alle spalle di due schiavi, e in tale stato recossi direttamente al palazzo, alla vista di tutti, con tanta maggior confusione perchè niuno lo compiangeva. Quando fu sotto l’appartamento del re, si mise a gridare, implorando la sua giustizia in compassionevole modo; il re se lo fece venire davanti, ed appena comparso, gli domandò chi l’avesse maltrattato e posto nella miseranda guisa in cui lo vedeva. — Sire,» sclamò Sauy, «basta soltanto essere in favore di vostra maestà, ed aver qualche parte ne’ sacri suoi consigli, per venir trattato nel modo indegno, in cui mi scorge. — Lasciamo questi discorsi,» riprese il re; «ditemi solamente come sta la cosa, e chi sia l’offensore. Saprò ben io farlo pentire, se ha torto.

«— Sire,» disse allora Sauy, raccontando la cosa tutta a suo vantaggio, «io era andato al mercato delle schiave per comprare una cuoca di cui ho bisogno; giunto sulla piazza, trovai che si metteva all’incanto una schiava per quattromila pezze d’oro. Me la feci condurre, ed è la più bella che siasi veduta o che si possa mai vedere. Non l’ebbi appena considerata con estrema soddisfazione, che domandai a chi appartenesse, e seppi che Noreddin, figliuolo del fu visir Khacan, voleva venderla. Vostra maestà si ricorderà, o sire, di aver fatto dare a quel visir, due o tre anni sono, diecimila pezze d’oro, incaricandolo di acquistare per tal somma una schiava. Ei l’aveva