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sare il gran calore del giorno in riposo, mentre andava a dare vari ordini al custode ed al giardiniere. Li raggiunsi poi, e discorremmo di cose indifferenti sinchè, passato il maggior ardore, tornammo in giardino, restandovi al fresco quasi sino al tramonto. Allora, i miei due amici ed io, saliti a cavallo, e seguiti da uno schiavo, giungemmo a Bagdad a due ore circa di notte, con un bellissimo chiaro di luna.

«Non so per qual negligenza della mia gente era accaduto che in casa mancasse l’orzo pei cavalli. I magazzini erano chiusi, o troppo discosti per andarne a fare così tardi la provvista.

«Cercandone pel vicinato, un mio schiavo trovò un vaso di crusca in una bottega; comprò la crusca e la portò nel vaso, colla promessa di restituirlo il dì dopo. Lo schiavo versò la crusca nella mangiatoia, e distendendola, affinchè i cavalli ne avessero tutti la parte loro, senti sotto la mano un pannolino legato e pesante. Mi portò il pannolino senza toccarlo e nello stato stesso, in cui si trovava, e me lo presentò, dicendo esser forse quello, del quale avevami udito parlare tanto sovente, raccontando agli amici la mia storia.

«Pieno di giubilo, dissi a’ miei benefattori: — Signori, Dio non vuole che vi separiate da me, se non pienamente convinti della verità, onde non ho cessato di assicurarvi. Ecco,» continuai, volgendomi a Saadi, «le altre centonovanta pezze d’oro, ricevute dalle vostre mani; le riconosco dal pannolino che vedete. —

«Sciolsi l’involto, e contai in loro presenza la somma. Mi feci anche portare il vaso che riconobbi, e lo mandai a mia moglie per domandarle se lo conoscesse, con ordine di nulla dirle di quanto era accaduto; lo riconobbe anch’ella subito, e mi mandò a dire essere lo stesso vaso pieno di crusca da lei cambiato colla terra da pulire.