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sua bottega nel quartiere dei gioiellieri; la moglie corse a trovarlo, e gli annunziò la scoperta fatta, riferendogli la grossezza, il peso approssimativo, la bellezza dell’acqua e lo splendore del diamante, e soprattutto la sua singolarità, ch’era di mandar luce di notte, secondo il rapporto di mia moglie, tanto più credibile ch’era pieno di semplicità.

«L’Ebreo rimandò la moglie coll’ordine di trattarne colla mia, di offrirne alla prima poca cosa, e quanto stimasse a proposito, di crescere in proporzione della difficoltà che trovasse, e finalmente di conchiudere il contratto a qualunque costo.

«L’Ebrea parlò dunque, secondo l’ordine del marito, a mia moglie in particolare, senza aspettare che si fosse determinata a vendere il diamante, e le chiese se ne voleva venti pezze d’oro. Per un pezzo di vetro, com’essa lo stimava, mia moglie trovò enorme la somma; ma pure non volle rispondere affermativamente, e soltanto disse all’Ebrea che non potea trattare, se non ne avesse prima parlato con me.

«Nel frattempo, avendo io lasciato il lavoro, voleva rientrare in casa per desinare, mentre le donne parlavano sulla porta. Mia moglie mi ferma, e mi chiede se acconsentissi a vendere il vetro, da lei trovato nel ventre del pesce, per venti pezze d’oro che l’Ebrea, nostra vicina, ne offeriva.

«Non risposi sul momento, riflettendo alla franchezza colla quale Saad mi aveva promesso, dandomi il pezzo di piombo, ch’esso farebbe la mia fortuna; ma l’Ebrea, credendo ch’io non rispondessi perchè disprezzava la somma offerta:

«— Vicino,» mi disse, «ve ne darò cinquanta: siete contento? —

«Quando vidi che da venti pezze l’Ebrea saltava di botto a cinquanta, tenni duro, e risposi che essa era ben lontana dal prezzo al quale io intendeva di venderlo.