Pagina:Le mille ed una notti, 1852, III-IV.djvu/595


181


una, grande come una specie di porta a due imposte, praticata nella stessa rupe e della stessa materia con mirabile artificio.

«Quella porta espose a’ nostri occhi, in un ampio sfondo scavato nella rupe, un palazzo magnifico, formato piuttosto dal lavoro de’ geni che da quello de gli uomini, poichè non pareva che uomini avessero potuto nemmeno sognar un’impresa si ardita e sorprendente.

«Ma, Commendatore de’ credenti, è ora ch’io faccio a vostra maestà tale osservazione, non avendoci pensato in quel momento. Anzi, non ammirai neppure le ricchezze infinite che scorgeva da tutti i lati; senza trattenermi a notare l’economia usata nella distribuzione di tanti tesori, come l’aquila si avventa alla preda, tal io mi scagliai sul primo mucchio di monete d’oro che mi s’affacciò, e cominciai a ficcarne in un sacco, di cui erami già impossessato, quante stimai poterne portare. Grandi erano i sacchi, e li avrei volentieri riempiti tutti; ma bisognava proporzionarli alle forze dei cammelli.

«Il dervis fece anch’egli la medesima cosa; ma mi avvidi che attaccavasi piuttosto alle gemme, ed avendomene spiegata la ragione, imitai il di lui esempio, e prendemmo molto più d’ogni sorta di pietre preziose che non d’oro monetato. Terminato in fine di colmare tutti i nostri sacchi, e caricatone i cammelli, più non restava che rinchiudere il tesoro ed an darcene... —

— Sire,» disse qui la sultana delle Indie, «l’alba sorge, e sono costretta a rimandare a domani il seguito di questa storia.»