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tete asportarne che tenuissima parte. Insegnatemi dov’è, ed io ne caricherò i miei ottanta cammelli, e ve ne regalerò uno, in ricompensa del bene e del piacere che mi avrete procurato.—

«Offeriva poca cosa, è vero, ma era molto, a quanto mi pareva, riguardo all’eccessiva avarizia ch’erasi di repente impossessata del mio cuore, dopo ch’egli avevami fatto quella confidenza; e già risguardava i settantanove carichi che mi sarebbero rimasti, quasi come un nulla in paragone di quello onde doveva privarmi cedendoglielo.

«Il dervis, avvistosi della mia strana passione per le ricchezze, ma pur non isdegnandosi dell’irragionevole mia offerta: — Fratello,» dissemi senza scomporsi, «vedete anche voi che la vostra esibizione non è proporzionata al benefizio che mi chiedete. Io potea dispensarmi dal parlarvi del tesoro, e custodire il mio segreto; ma ciò che ve ne volli dire, può farvi conoscere la buona intenzione che aveva, e tuttavia ho, di recarvi piacere, e darvi materia di ricordarvi per sempre di me, formando la vostra fortuna e la mia. Ho dunque un’altra proposta da farvi più giusta ed equa; sta a voi a vedere se vi garba. Voi dite,» proseguì il dervis, «che avete ottanta cammelli; son pronto a condurvi al tesoro, e li caricheremo, voi ed io, di tutto l’oro e le gemme che potranno portare, a condizione, che quando li avremo caricati, me ne cederete la metà coi rispettivi carichi, ritenendo per voi l’altra metà; poi ci separeremo, e li condurremo dove più ne piacerà, voi dalla vostra parte, io dalla mia. Vedete già che la spartizione non ha nulla che non sia equo, e se mi fate grazia di quaranta cammelli, avrete pure, per mezzo mio, di che comprarne un buon migliaio d’altri. —

«Io non poteva disconvenire che la proposta del dervis non fosse più che giusta. Nondimeno, senza