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Hassan Alhabbal,» gli disse il monarca; «va a dirgli che si trovi ei pure domani al mio palazzo al l’ora stessa de’ due altri.» Giafar non mancò d’eseguire gli ordini del suo signore.

«Alla domane, terminata la preghiera del vespro, il califfo entrò nel suo appartamento, e tosto il gran visir introdusse i tre personaggi de’ quali abbiamo parlato, e glieli presentò. Prosternaronsi tutti e tre allora davanti al trono, e quando si furono rialzati, il sultano domandò al cieco come si chiamasse.

«— Mi chiamo Baba-Abdalla,» rispose il cieco.

«— Baba-Abdalla,» ripigliò il califfo, «la tua maniera di domandare l’elemosina mi parve ieri tanto strana, che se non fossi stato trattenuto da certe considerazioni, mi sarei ben guardato dell’aver avuta per te la condiscendenza che usai, e ti avrei sin d’allora vietato di presentar più oltre al pubblico lo scandalo che gli rechi. Ti ho dunque fatto venir qui onde sapere da te il motivo che ti spinse a fare un giuramento indiscreto come parmi sia il tuo; e da quanto sarai per dirmi, giudicherò se tu abbia fatto bene, e se io debba permetterti di continuare una pratica che mi sembra di pessimo esempio. Dimmi adunque, senza tergiversazioni, d’onde nacque lo stravagante pensiero; non nascondermi nulla, voglio assolutamente saperlo. —

«Intimorito Baba-Abdalla da quell’ammonizione, prosternossi una seconda volta colla fronte sino a terra davanti al trono del califfo, e rialzatosi: — Commendatore de’ credenti,» cominciò subito, «domando umilmente perdono a vostra maestà dell’ardire, con cui osai esigere da lei e forzarla ad una cosa la quale, a dir vero, sembra contraria al buon senso.

Riconosco la mia colpa; ma siccome non conosceva allora la maestà vostra, imploro la sua clemenza, e spero vorrà usarmi indulgenza per la mia ignoranza.