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cieco, e dopo avergli dato uno schiaffo, gl’intimò l’ordine, e tornò a raggiungere il califfo.

«Rientrarono in città, e passando da una piazza, vi trovarono gran numero di spettatori, intenti ad osservare un giovane ben vestito, montato sur una cavalla, cui spingeva a briglia sciolta intorno alla piazza, maltrattandola crudelmente a colpi di frusta e di sproni, senza tregua, di modo che la bestia era tutta a schiuma ed a sangue.

«Sorpreso il califfo dell’inumanità del giovane, si fermò per domandare se fosse noto per qual motivo egli maltrattasse a quel modo la cavalla, e sentì che l’ignoravano, ma essere qualche tempo che ogni giorno, alla medesima ora, le faceva fare quel penoso esercizio.

«Proseguirono il cammino, ed il califfo disse al gran visir di notar bene quella piazza, e non mancare di fargli comparire dinanzi alla domane il giovane nell’ora stessa del cieco.

«Prima che il califfo giungesse al palazzo, in una via per la quale era molto tempo che non passava, notò un edifizio fabbricato di recente, che gli parve dover essere l’abitazione di qualche signore della corte. Domandò dunque al gran visir se sapeva a chi appartenesse, e questi rispose d’ignorarlo, ma che andava subito ad informarsene.

«Infatti, interrogato un vicino, seppe che la casa apparteneva a Khodjah Hassan, soprannomato Alhabbal, a motivo della professione di cordaio, ch’egli medesimo avevagli veduto esercitare in grande povertà, ed il quale, senza saper in qual modo la fortuna avesselo favorito, aveva acquistato tanti beni, che onoratamente e splendidamente potè sostenere la spesa fatta per edificarla.

«Il gran visir tornò dal califfo, e manifestatogli quanto avea saputo: — Voglio vedere questo Khodjah