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«Sorpreso il califfo della domanda e dell’atto del cieco: — Buon uomo,» gli disse, «non posso concederti ciò che domandi: mi guarderò bene dallo scancellare il merito della mia elemosina, maltrattandoti come pretendi.» Ciò detto, fece ogni sforzo per isciogliersi dal cieco, ma questi, il quale già dubitava della ripugnanza del suo benefattore, per l’esperienza che da lungo tempo ne aveva, raddoppiò di forza per trattenerlo.

«— Signore,» ripigliò, «perdonate il mio ardire e l’importunità mia; datemi, ve ne supplico, uno schiaffo, o riprendete la vostra elemosina; io non posso riceverla se non a tale condizione, senza contravvenire al solenne giuramento da me fatto dinanzi a Dio; e se ne sapeste la ragione, converreste anche voi che leggerissima è la pena.»


NOTTE CCCXLIII


— Il califfo, il quale non voleva essere più a lungo ritardato, cedè all’importunità del cieco, e gli diede un lieve schiaffo. Subito il cieco lasciollo andare, ringraziandolo e benedicendolo. Continuò il califfo la sua strada col gran visir; ma fatti alcuni passi, disse al ministro: — Bisogna dire che il motivo, il quale ha indotto quel vecchio a contenersi così con tutti quelli che gli fanno elemosina, sia assai grave. Mi piacerebbe esserne informato: torna dunque in dietro, digli chi sono, e che non manchi di trovarsi domani al palazzo nel tempo della preghiera del vespro, chè gli voglio parlare. —

«Il gran visir tornò indietro, fece elemosina al