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nite, ed a cui non erasi quasi toccato. I due sposi, mangiarono insieme e bevettero del buon vino vecchio del mago; indi, dopo alcuni discorsi, ritiraronsi nel loro appartamento.

«Dopo il trasloco del palazzo d’Aladino e della principessa Badrulbudur, il sultano, suo padre, era inconsolabile d’averla perduta come se lo immaginava; non dormiva quasi nè notte, nè giorno, ed invece di evitare tutto ciò che potea mantenerlo nel suo cordoglio, era anzi quello ch’ei cercava con maggior premura. Così, mentre prima non andava se non la mattina nel gabinetto aperto del suo palazzo, per compiacersi del diletto di quella vista di cui non poteva mai saziarsi, allora vi andava più volte al giorno a rinnovarvi le sue lagrime, ed immergersi vie maggiormente nel profondo dolore, all’idea di non veder più ciò ch’eragli tanto piaciuto, e d’avere perduto quanto possedea di più caro al mondo. L’aurora era appena comparsa all’orizzonte, quando il sultano, la mattina stessa che il palazzo di Aladino era stato riportato a suo luogo, venne al solito gabinetto, ed entratovi, era tanto sovrappensieri e così penetrato dal suo cordoglio, che volse gli occhi tristamente verso il sito dove non credeva di vedere se non lo spazio, senza accorgersi del palazzo. Ma come osservò pieno quel vacuo, immaginossi fosse l’effetto d’una nebbia; guarda con maggior attenzione, e riconosce, da non poterne dubitare, ch’era il palazzo di Aladino. Allora la gioia e l’allegrezza del cuore succedettero in lui al cordoglio ed alla mestizia; torna, affrettando il passo, al suo appartamento, e comanda che, sellato un cavallo, gli venga subito condotto. Giunto il destriero, vi sale, parte, e gli pare di non poter, giungere abbastanza sollecito presso la figliuola.»