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nuazione; lo che ella fece, la notte seguente, in questi sensi:


NOTTE CCXLI


— Sire, ciò che contribuì viemaggiormente a mettere in disordine gli affari di Noreddin fu, che non voleva udire parlar di conti col maggiordomo. Lo rimandava ogni qual volta si presentava col suo libro, e: — Va, va,» gli diceva, «mi fido di te; abbi solamente cura di farmi far sempre buona tavola.

«— Voi siete il padrone, signore,» rispondeva il maggiordomo. «Vorrete non ostante permettermi di rammentarvi il proverbio, che chi spende molto e non fa conti, si trova alla fine ridotto alla mendicità senza accorgersene. Voi non vi contentate dell’enorme spesa della vostra tavola, ma regalate inoltre a piene mani. I vostri tesori non possono bastare, quand’anche fossero alti come montagne. — Va, va, ti dico,» gli ripeteva Noreddin, «non ho bisogno delle tue lezioni: continua a farmi mangiar bene, e non metterti in angustia pel resto. —

«Gli amici di Noreddin intanto erano assiduissimi alla sua tavola, e non mancavano all’occasione di approfittare della sua prodigalità. Lo adulavano, lo lodavano, e portavano a cielo la menoma delle sue più indifferenti azioni; non dimenticavano soprattutto di esaltare tutto ciò che gli apparteneva, e vi trovavano il loro conto. — Signore,» gli diceva l’uno, «passai l’altro giorno per la terra che avete nel tal sito; non ho veduto finora nulla di più magnifico, nè meglio ammobigliato della casa, ed il giardino annesso è un paradiso di delizie. — Sono lieto che vi piaccia,» rispondeva Noreddin; «portatemi penna,