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«Questi, impazientito: — Or dimmi,» ripetè, «dov’è il tuo palazzo, e dove la figlia mia?» Allora Aladino, rotto il silenzio: — Sire,» rispose, «ben veggo, e lo confesso, che il palazzo fatto da me fabbricare, più non si trova nel sito dov’era; vedo ch’è scomparso, nè so dire a vostra maestà ove possa essere; ma posso bensì assicurarla di non aver la minima parte in tale avvenimento.
«— Non mi prendo veruna briga di quanto sia accaduto del tuo palazzo,» riprese il sultano; «stimo la mia figliuola un milione di volte di più. Voglio che tu me la ritrovi; altrimenti ti farò tagliar la testa, e niuna considerazione potrà impedirmelo.
«— Sire,» tornò a dire il giovane, «supplico vostra maestà ad accordarmi quaranta giorni per fare le mie indagini; e se nel frattempo non vi riesco, gli do la mia parola che porterò appiè del suo trono la testa, affinchè ne disponga a suo beneplacito. — Ti concedo i quaranta giorni che domandi,» gli rispose il sultano; «ma non credere di abusare della grazia che ti concedo, stimando sfuggire al mio risentimento: in qualunque angolo della terra tu possa ricoverarti, saprò bene ritrovarti all’uopo.»
Dinarzade, vedendo che, a cagione del giorno che appariva, la sorella aveva cessato di parlare: — Mi spiace assai,» disse, «della disgrazia d’Aladino; ma spero riescirà a punire quel miserabile stregone. — E ciò che vedrai,» rispose la sultana, «nel corso delle notti seguenti.»