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mandò: — Or bene, l’hai veduto? — Sire,» rispose il gran visir, «vostra maestà può ricordarsi ch’io ebbi l’onore di dirle, che quel palazzo, il quale formava il soggetto della di lei ammirazione colle immense sue ricchezze, era opra di magia e di un mago; ma vostra maestà non volle credermi. —
«Il sultano, il quale non potea disconvenire di ciò che il gran visir gli rappresentava, montò in tanta maggior collera, in quanto che non potea sconfessare la sua incredulità. — Dov’è, dov’è quell’impostore, quello scellerato? Gli voglio far tagliare la testa. — Sire,» rispose il ministro, «sono alcuni giorni ch’ei venne a prendere congedo da vostra maestà; bisogna mandare a chiedergli dove trovasi il suo palazzo; ei non deve ignorarlo. — Sarebbe trattarlo con troppa indulgenza,» rispose il sultano; «va a dar ordine a trenta de’ miei cavalieri di condurmelo carico di catene.» Andò il gran visir a dare ai cavalieri l’ordine del sultano, ed istruì il loro ufficiale del modo in cui doveva contenersi affinchè non gli fuggisse di mano. Partiti dunque, incontrarono Aladino a cinque o sei leghe dalla città, che tornava cacciando; l’ufficiale, accostatosegli, gli disse che il sultano, impaziente di rivederlo, avevali mandati per dichiararglielo, e tornare in di lui compagnia.
«Il giovane non ebbe il menomo sospetto del vero motivo che conduceva quel distaccamento della guardia del sultano: laonde continuò a tornar indietro sempre cacciando; ma quando fu ad una mezza lega dalla città, il distaccamento lo circondò, e l’ufficiale, prendendo la parola, gli disse: — Principe Aladino, grande è il nostro dispiacere di dichiararvi l’ordine da noi avuto dal sultano di arrestarvi, e condurvi da lui come un delinquente di stato; vi supplichiamo di non isdegnarvi con noi, se obbediamo al nostro dovere, ed a perdonarcelo. —