Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
124 |
e la virtù della lampada! Io aveva tenuta per certa la sua morte, ed eccolo che gode il frutto delle mie fatiche e delle mie veglie! Voglio impedire che ne goda più a lungo, o perirò.» Nè stette molto a deliberare sul punto da prendere. L’indomani, di buon mattino, montò sur un barbero (1) che teneva nella scuderia, e si pose in cammino; di città in città, e di provincia in provincia, non fermandosi se non quanto abbisognava per non istancare di troppo il destriero, giunse alla China, ed in breve nella capitale del sultano, di cui Aladino aveva sposata la figliuola. Quivi smontò in un khan, dove, presa a pigione una stanza, vi rimase il resto del giorno e la notte seguente onde rimettersi dalle fatiche del viaggio.
«Il giorno dopo, prima d’ogni altra cosa, volle il mago sapere cosa si dicesse di Aladino; laonde, passeggiando per la città, entrò nel luogo più famoso e frequentato dalle persone distinte, dove soleano adunarsi per bere una certa bevanda calda (2), a lui nota sin dal primiero suo viaggio, ed appena vi fu seduto, che, riempitagli una tazza di quella bevanda, gli venne gentilmente presentata. Prendendola, siccome tendeva l’orecchio a destra ed a sinistra, intese che discorrevasi appunto del palazzo di Aladino. Quand’ebbe finito di bere, si accostò ad uno di quelli che ne parlavano, e frammischiandosi a proposito, gli chiese in particolare cosa fosse quel palazzo, del quale tanto discorrevasi. — D’onde venite?» sentì rispondersi dalla persona cui erasi rivolto.
«Bisogna che siate giunto da ben poco, se non avete veduto, o piuttosto se non avete ancora udito parlare del palazzo del principe Aladino.» Il giovane