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no quindi a prenderne altre a più riprese, ed in un mese non avevano finita la metà dell’opera. Impiegarono così tutte quelle del sultano, oltre ciò che il gran visir gli prestò delle sue, con tutto questo riuscendo appena a terminare la metà della finestra.»


NOTTE CCCXXXII


— Sire,» ripigliò la sultana, «Aladino, conoscendo che il sultano sforzavasi indarno di rendere la gelosia simile alle altre, e che mai non ne sarebbe uscito con onore, chiamati gli orefici, disse loro non solo di cessar dal lavoro, ma anzi di disfarlo tutto, e riportare al sultano tutte le sue pietre e quelle prese a prestito dal gran visir.

«L’opera che quei gioiellieri avevano messo più di sei settimane a fare, fu in poche ore distrutta. Ritiratisi allora, lasciarono Aladino solo nel salone, il quale, cavata la lucerna che portava indosso, e strofinatala, il genio gli fu subito davanti. — Genio,» dissegli il giovane, «io ti aveva ordinato di lasciar imperfetta una delle ventiquattro finestre della sala, e tu eseguisti l’ordine mio; ora ti ho chiamato per dirti che desidero di vederla eguale alle altre.» Il genio disparve, ed allora Aladino discese dal salone; ma tornatovi poco dopo, trovò la gelosia simile alle altre, come bramava.

«Intanto, gli artefici, giunti al palazzo, furono introdotti e presentati al sultano nel suo appartamento; il primo gioielliere, consegnandogli le gemme ch’essi gli riportavano, disse in nome di tutti: — Sire, vostra maestà sa da quanto tempo noi lavoriamo