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cosa disse del vino, ch’era in fatti squisitissimo. Quello però ch’egli lodò maggiormente furono quattro larghe credenze cariche a profusione di fiaschi, bacili e di coppe d’oro massiccio, tutte stupendamente adorne di pietre preziose. Piacquero pure i cori di musica distribuiti per la sala, mentre il clangore delle trombe, accompagnato dai tamburi e dai timballi, echeggiavano al di fuori a proporzionata distanza per sentirne tutto il diletto.

«Quando il sultano stava per escire di tavola, vennero ad avvertirlo che i gioiellieri e gli orefici, chiamati di suo ordine, erano giunti: risalì allora, insieme a quegli artefici, al salone dalle ventiquattro finestre, e mostrando loro quella imperfetta: — Vi ho fatti chiamare,» disse, «per accomodar questa finestra, e ridurla alla stessa perfezione delle altre: esaminatela, e non perdete tempo a farla simile alle compagne. —

«Esaminarono gli artefici le altre ventitrè gelosie con attenzione; consultatisi quindi assieme, e convenuti di ciò cui poteva ciascheduno da propria parte contribuire, tornarono a presentarsi al sultano, ed il gioielliere di corte, pigliando la parola per tutti, gli disse: — Sire, siamo pronti ad adoperare le cure e l’industria nostra per obbedire a vostra maestà; ma fra quanti siamo qui della nostra professione, non abbiamo pietre così preziose, nè in numero sufficiente per finire sì gigantesco lavoro. — Io ne ho,» rispose il sultano, «ed al di là di quante ne potessero occorrere; venite al mio palazzo, ve le mostrerò, e voi sceglierete. —

«Allorchè il sultano fu di ritorno al palazzo, si fece portare tutte le gemme, ed i gioiellieri ne presero in grandissima quantità, specialmente di quelle che venivano dal dono di Aladino; ma le adoperarono tutte senza che il lavoro apparisse molto inoltrato. Tornaro-