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prattutto ebbe volti gli occhi sulle gelosie adorne di diamanti, rubini e smeraldi, tutti perfetti nella loro proporzionata grossezza, avendogli fatto notare il giovane medesimo che pari n’era la ricchezza al di fuori, ne rimase maravigliato in guisa, che stette come immobile. Rimasto alcun tempo in quello stato: — Visir,» disse a quel ministro che gli si trovava a fianco, «è mai possibile siavi nel mio regno, e tanto vicino al mio palazzo, un edificio sì stupendo, e ch’io l’abbia sinora ignorato? — Vostra maestà,» rispose il gran visir, «si ricorderà d’aver ier l’altro accordato ad Aladino, riconosciuto allora per di lei genero, il permesso di erigere un palazzo rimpetto al suo; il giorno stesso, al tramonto del sole, non eravi edificio alcuno in questo luogo, e ieri io ebbi l’onore di essere il primo ad annunziarle che il palazzo era bell’e finito. — Me ne ricordo,» ripigliò il sultano; «ma non mi sarei mai immaginato che codesta abitazione fosse una delle maraviglie del mondo. Dove trovarne in tutto l’universo che siano fabbricati di filari d’oro e d’argento massiccio, in vece di pietra o di marmo, e le cui finestre abbiano gelosie incrostate di diamanti, di rubini e smeraldi? Mai al mondo non si è fatto menzione di cosa simile! —

«Il sultano volle vedere ed ammirare la bellezza delle ventiquattro gelosie, e contatele, trovandone ventitrè sole che fossero della medesima ricchezza, maravigliò altamente scorgendo che la vigesimaquarta era imperfetta. — Visir,» diss’egli (chè il gran visir facevasi un dovere di non abbandonarlo), «stupisco assai come una sala di tal magnificenza sia rimasta in questo sito imperfetta. — Sire,» rispose il ministro, «forse Aladino ebbe premura, e gli mancò il tempo di rendere questa finestra simile alle altre; ma si può credere che abbia le gemme necessarie, e che fra poco vi farà lavorare. —