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NOTTE CCCXXV
— Sire,» continuò l’indomani Scheherazade, «la sultana ascoltò tranquillamente tutto il racconto della figliuola, ma non volle prestarle fede. — Figlia,» le disse, «avete fatto benissimo a non parlar di ciò al sultano vostro padre. Guardatevi di non dirne nulla ad alcuno; vi prenderebbero per una pazza, se vi udissero parlare in tal guisa. — Madama,» soggiunse la principessa, «posso assicurarvi che vi parlo di buon senno; potete informarvene dal mio sposo, il quale vi dirà la medesima cosa. — Me ne informerò,» tornò a dire la sultana; «ma quando pure me ne parlasse come voi, non ne rimarrei più persuasa di quel che sono. Alzatevi intanto, e toglietevi di mente questa fantasticheria; sarebbe bella che turbaste con una simile visione le feste ordinate per le vostre nozze, e che devono continuarsi più giorni nel palazzo ed in tutto il regno! Non udite già il clangore ed i concerti delle trombe, de’ timballi e dei tamburi? Tutto ciò vi deve ispirare la gioia ed il piacere, e farvi dimenticare tutte le fantasie delle quali mi parlaste.» Nello stesso tempo la sultana chiamò le donne della principessa, e quando l’ebbe fatta alzare e veduta porsi alla toletta, andò dal consorte, e gli disse infatti essere passata qualche fantasia per la mente della figlia, ma che non era nulla. Fece poi chiamare il figlio del gran visir per sapere da lui qualche cosa intorno a ciò che detto le aveva la figliuola; ma colui, il quale stimavasi infinitamente onorato del parentado del sultano, aveva preso il partito di dissimulare. — Genero,» gli disse