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«— Eh, credete voi,» rispose il visir, «che io sia capace di affliggermi tanto per la perdita di diecimila pezze d’oro? Qui non si tratta di questo, e neppure della perdita di tutti i miei beni, di cui sarei eziandio poco commosso. Si tratta di quella del mio onore, che m’è più prezioso di tutti i beni del mondo. — Mi sembra tuttavia,» ripigliò la dama, «che quanto si può riparare col danaro, non sia poi di tanta conseguenza.

«— E che!» replicò il visir; «ma non sapete che Sauy è mio capitale nemico? Credete voi che non appena colui avrà saputa la faccenda, non corra tosto a trionfare di me presso al re? ««Vostra maestà,» gli dirà egli, «non parla che dell’affetto e dello zelo di Khacan pel suo servigio; egli però ha fatto vedere ora quanto sia poco degno di tale considerazione. Ha ricevuto diecimila pezze d’oro per comprarle una schiava: infatti ha adempito a sì onorevole incarico, e mai alcuno vide schiava più bella; ma invece di condurla a vostra maestà, giudicò meglio di farne un dono a suo figlio. — Figliuolo,» gli ha detto, «prendete questa schiava, essa è vostra: la meritate meglio del re.» Suo figliuolo,» proseguirà egli colla sua consueta malizia, «se l’è presa, e si diverte ogni giorno con lei. La cosa sta come ho l’onore di asserire, e vostra maestà può accertarsene da per se medesima.»» Non vedete,» soggiunse il visir, «che per tale discorso le guardie del re possono venire ad ogni momento ad invadere la mia casa e levarne la schiava? Aggiungetevi tutte le altre inevitabili disgrazie che ne deriveranno.

«— Signore,» rispose la dama a quel discorso del consorte, «confesso che la malignità di Sauy è grandissima, e ch’egli è capace di dare alla cosa il malizioso aspetto che avete detto, se ne avesse la minima cognizione. Ma chi può mai sapere, ned egli