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scorgendolo, lo chiamò, e fattolo entrare: — Figliuolo,» gli disse, «vi ho già veduto passare più volte carico come adesso, volgervi al tal Ebreo, e tornare poco dopo senza cosa alcuna. M’immaginai che gli vendeste quello che portavate; ma voi forse non sapete che quell’Ebreo è il più ingannatore di tutti gli altri Giudei, e che nessuno di chi lo conosce vuole aver da fare con lui. Del resto, ciò che vi dico non è che per farvi piacere; se volete mostrarmi ciò che portate adesso, e sia da vendere, io ve ne pagherò fedelmente il giusto valore, se mi conviene, altrimenti vi dirigerò ad altri mercanti che non v’inganneranno. —

«La speranza di ricavar più danaro dal piatto, indusse Aladino a tirarlo fuor della veste, e mostrarglielo. Il vecchio, il quale subito conobbe essere d’argento fino, gli domandò se ne avesse venduti di simili all’Ebreo, e quanto glieli avesse colui pagati. Il giovane ingenuamente rispose di avergliene venduti dodici, ad una sola pozza d’oro cadauno. — Ah, che ladro!» sclamò l’orefice. «Figlio,» soggiunse, «quel ch’è fatto è fatto, non bisogna pensarvi più; ma facendovi vedere ciò che vale il vostro piatto, il quale è del miglior argento di cui ci serviamo nelle nostre botteghe, comprenderete quanto l’Ebreo vi abbia defraudato. —

«L’orefice prese le bilance, pesò il piatto, e spiegato ad Aladino cosa fosse un marco d’argento, quanto valesse e le sue suddivisioni, gli fece notare che, secondo il peso del piatto, valeva settantadue pezze d’oro, cui gli pagò sul momento in contanti. — Ecco,» gli disse, «il giusto valore del vostro piatto. Se ne dubitate, rivolgetevi a chi preferite de’ nostri orefici; e se vi dice che vale di più, vi prometto di pagarvelo il doppio. Noi non guadagniamo se non la fattura dell’argenteria comprata, ed è ciò che non fanno neppure i più equi Ebrei. —