Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
43 |
NOTTE CCCXVI
— In quell’azione di congiungere le mani, fregò, senza pensarvi, l’anello postogli in dito dal mago affricano, e del quale non conosceva ancora la virtù. Tosto un genio di enorme figura e sguardo spaventevole, gli si levò dinanzi come di sotterra, finchè giunto colla testa sino alla volta, disse ad Aladino queste parole:
«— Che cosa vuoi? Eccomi pronto ad obbedirti come tuo schiavo, e schiavo di tutti quelli che tengono l’anello in dito, io e gli altri schiavi dell’anello. —
«In altro tempo ed in tutt’altra occasione, Aladino, il quale non era avvezzo a simili apparizioni, avrebbe potuto sentirsi colto da terrore, e perdere, alla vista d’una figura sì straordinaria, la favella; ma occupato unicamente dell’urgente pericolo in cui si trovava, rispose senza esitare: — Chiunque tu sia, fammi uscire da questo luogo, se ne hai il potere.» Appena ebbe pronunziate tali parole, la terra si aprì, ed egli si trovò fuor dalla caverna, ed appunto nel sito medesimo dove avevalo condotto il mago.
«Non parrà strano se Aladino, il quale era rimasto tanto tempo nelle più fitte tenebre, provasse alla prima molta difficoltà a sostenere la luce del giorno; pure vi avvezzò a poco a poco gli occhi, e guardandosi intorno, stupì grandemente di non veder apertura sul suolo. Non potè comprendere in qual modo si trovasse repentinamente fuor dalle sue viscere, nè vi fu se non il sito nel quale erano stati accesi i ramoscelli, che gli facesse conoscere presso