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perdita di questo, insieme a quella della lampada, non abbia gettato il mago nell’ultima disperazione. Se non che sono i maghi tanto avvezzi alle disgrazie ed agli avvenimenti contrari alle loro brame, che non cessano, finchè vivono, di pascersi di fumo, di chimere e d’illusioni.

«Aladino, il quale non aspettavasi all’iniquità del falso suo zio dopo le carezze ed il bene ricevuto, fu colpito da uno stupore più facile ad immaginarsi che a descrivere. Quando si vide sepolto vivo, chiamò mille volte lo zio, gridando ch’era pronto a dargli la lucerna; ma inutili furono le sue grida, non avendo più modo di esserne udito: rimase dunque nelle tenebre e nell’oscurità. In fine, data qualche tregua alle lagrime, discese fino al basso della scala per andar a cercare la luce nel giardino dov’era già passato; ma il muro, apertosi per incanto, erasi già rinchiuso e congiunto per un altro incanto. Palpa davanti a lui a destra ed a sinistra a più riprese, e non trova più porta: raddoppia le grida ed i pianti, e siede sui gradini, senza speranza di rivedere mai più la luce, e colla trista certezza, per lo contrario, di passare dalle tenebre in cui trovavasi, a quelle d’una vicina morte.

«Rimase Aladino due giorni in tale stato, senza mangiare, nè bere; il terzo finalmente, ritenendo come inevitabile la morte, alzò le mani congiunte, e con intera rassegnazione alla volontà di Dio, sclamò:

«— Non v’ha forza e potenza se non in Dio, l’altissimo, il grande!»