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l’un dall’altro mediante piccoli fossati che ne sognavano i limiti, ma non ne rompevano la comunicazione, giacchè la buona fede facea sì che i cittadini di quella capitale non usassero maggiori precauzioni per impedire di nuocersi a vicenda. Insensibilmente il mago affricano condusse Aladino assai lontano oltre i giardini, e gli fece traversare molte campagne che lo condussero vicino ai monti.
«Aladino, il quale non aveva mai fatta in vita sua tanta strada, si sentì molto stanco del lungo cammino. — Zio,» disse al mago, «dove andiamo? abbiamo lasciali i giardini ben lungi dietro di noi, e più non veggo che montagne. Se avanziamo di più, non so se avrò forze bastanti per tornare indietro. — Fatevi coraggio, nipote,» gli disse il falso zio, «voglio farvi vedere un altro giardino che supera tutti quelli da voi finora veduti; non è lontano, non v’ha che un passo, e quando vi saremo giunti, mi direte voi medesimo se non vi dispiacerebbe di non averlo veduto, dopo esservene tanto avvicinato.» Aladino si lasciò persuadere, ed il mago lo condusse ancor più lontano, distraendolo con varie dilettevoli storielle, per rendergli men noiosa e più sopportabile la strada.
«Giunsero finalmente fra due montagne di mediocre altezza e quasi eguali, divise da una vallea di poca larghezza, sito notabile dove il mago aveva voluto condurre Aladino per l’esecuzione d’un gran disegno che avealo fatto venire dall’estremità dell’Affrica sino in China. — Siamo giunti,» diss’egli ad Aladino; «qui voglio farvi vedere cose straordinarie e sconosciute a tutti i mortali, e quando le avrete vedute, mi ringrazierete d’essere stato testimonio di tante maraviglie, che nessuno al mondo avrà mirato fuor di voi. Mentr’io batto l’acciarino, adunate fra tutti i ramoscelli, che qui vedete, quelli che vi parranno i più secchi, per accendere il fuoco. —