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«Il mago affricano fece mille carezze al giovanetto. — Andiamo, mio caro figlio,» gli disse in aria ridente; «oggi voglio farvi vedere molte belle cose.» Lo condusse fuor d’una porta che guidava a certe grandi e belle case, o piuttosto palazzi magnifici, che avevano ciascuno bellissimi giardini, cui era libero l’ingresso. Ad ogni palazzo che incontravano, domandava ad Aladino se lo trovava bello, ed il giovanetto, prevenendolo quando un altro se ne presentava: — Zio,» diceva, «eccone uno più bello di quelli che abbiamo veduto.» Intanto, inoltravansi sempre più innanzi nella campagna, e lo scaltro mago, il quale bramava andar più lontano per eseguire il disegno che aveva in testa, prese occasione di entrare in uno di que’ giardini, e sedendo presso un’ampia vasca che riceveva un’acqua limpidissima dalle fauci d’una testa di leone di bronzo, finse di essere stanco, per far riposare Aladino. — Nipote,» gli disse, «dovete essere stanco al par di me; riposiamoci per racquistare le forze: avremo così maggior coraggio a proseguire la nostra passeggiata. —

«Quando furono seduti, il mago affricano trasse da un fazzoletto, che portava appeso alla cintola, alcune focacce e parecchie sorta di frutti, di cui avea fatto provvista, e lo distese sul margine della vasca. Divise poi una focaccia con Aladino, e quanto ai frutti gli lasciò la libertà di scegliere quelli che più fossero di suo gusto. Durante la piccola merenda intertenne il preteso nipote con parecchi insegnamenti che tendevano ad esortarlo a cessar dal frequentare i fanciulli, ad avvicinarsi piuttosto ad uomini saggi e prudenti, ascoltarli ed approfittare de’ loro discorsi. — Fra poco,» glio diceva, «sarete uomo com’essi, ed è sempre megli accostumarvi presto a dir buone cose secondo il loro esempio.» Finita la refezione, si alzarono, proseguendo il cammino attraverso, molti giardini separati