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NOTTE CCCXI


— Sire,» diss’ella, «sia che il mago affricano, il quale intendevasi di fisonomie, avesse notato sul volto di Aladino quanto era assolutamente necessario per l’esecuzione de’ suoi progetti che avevanlo fatte venire sì da lontano, o sia per tutt’altra ragione, s’informò destramente della sua famiglia, di ciò ch’ei fosse e delle sue inclinazioni. Istruito di tutto quello che desiderava, si avvicinò al giovinetto, e tirandolo in disparte: — Figliuolo,» gli domandò, «non chiamasi vostro padre Mustafà il sartore? — Sì, signore,» rispose Aladino; «ma è morto da qualche tempo. —

«A tali parole, il mago affricano, gettatosi al collo di Aladino, l’abbracciò e baciò varie volte colle lagrime agli occhi e singhiozzando. Il ragazzo, notandone le lagrime, gli chiese perchè piangesse. — Ah, figliuol mio!» sclamò il mago affricano; «come potrei astenermene? Sono vostro zio, ed il padre vostro era il mio buon fratello. Sono più anni che mi trovo in viaggio, e nel momento che arrivo qui colla speranza di rivederlo, e consolarlo pel mio ritorno, voi mi palesate che è morto. Vi assicuro esser questo un dolore sensibilissimo per me di vedermi privo del conforto, cui mi aspettava. Ma ciò che allevia un po’ il mio cordoglio, è che, por quanto me ne possa ricordare, riconosco i suoi lineamenti sul vostro volto, e comprendo che non mi sono ingannato rivolgendomi a voi.» Domandò poi ad Aladino, mettendo la mano alla borsa, ove dimorasse la madre; il ragazzo soddisfece alla sua richiesta, ed il mago affricano, dandogli in pari tempo un pugno