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di lei. — Commendatore de’ credenti,» rispose ella dunque, «sebbene sia vostro costume di motteggiare, vi dirò non esser questa l’occasione di farlo, e ciò che vi dico è cosa gravissima. Non si tratta qui della morte della mia schiava, ma bensì di quella di Abu Hassan suo marito, del quale piango la morte, che voi dovreste pianger meco.
«— Ed io, signora,» riprese il califfo colla massima serietà, «vi dico senza scherzi che v’ingannate; è Nuzhatul-Auadat ch’è morta, ed Abu Hassan trovasi vivo e pieno di salute. —
«Zobeide si offese della risposta secca del califfo, e:
«— Commendatore de’ credenti,» replicò vivamente, «Dio vi preservi dal rimanere più oltre in simile errore! Mi fareste credere che il vostro spirito non si trovi nel solito stato. Permettetemi ripetervi di nuovo essere Abu Hassan ch’è morto, e che Nuzhatul-Auadat, mia schiava, vedova del defunto, è piena di vita. Non sarà un’ora ch’ella è uscita di qui, dov’era venuta tutta desolata ed in uno stato che solo sarebbe stato capace di cavarmi le lagrime, quand’anche non mi avesse palesato, in mezzo a mille singhiozzi, il giusto motivo del suo affanno. Tutte le mie donne hanno pianto con me, e possono farvene sicura testimonianza. Vi diranno pure che le feci il dono d’una borsa di cento pezze d’oro e d’una pezza di broccato; ed il dolore che avrete notato sul mio volto entrando, era cagionato dalla morte di suo marito, e dalla desolazione in cui la vidi poco fa. Stava anzi per mandare a farvi i miei complimenti di condoglianza nel momento appunto che siete entrato. —
«A quelle parole di Zobeide: — Ecco, o signora, una strana ostinazione,» sclamò il califfo con una grande risata. «Ed io vi dico,» continuò, tornando serio, «essere Nuzhatul-Auadat quella ch’è morta. — No,