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aveva concessa, siccome una ricompensa più che sufficiente de’ servigi prestati e dell’affetto suo, non credevasi in diritto di dimandarle di più.
«Abu Hassan ruppe finalmente il silenzio, e guardando la consorte con viso ilare: — Comprendo bene,» le disse, «che voi pure voi trovate nello stesso imbarazzo di me, e cercate a qual partito dobbiamo appigliarci in una congiuntura sì difficile come questa in cui ci vien meno a un tratto il denaro, senza averlo preveduto. Non so quale esser possa il vostro sentimento; quanto a me, avvenga quel che può, il mio parere non è di diminuire per nulla la nostra solita spesa, e credo che dal vostro canto non me lo contrasterete. Il punto sta nel trovare il mezzo di provvederci senza aver la bassezza di chiederne, nè io al califfo, nè voi a Zobeide, e mi pare d’averlo trovato. Ma, a tal uopo, bisogna che ci aiutiamo scambievolmente. —
«Questo discorso piacque moltissimo a Nuzhatul-Auadat, e le infuse qualche speranza. — Io non era meno di voi occupata in simile pensiero,» gli diss’ella, «e se non mi spiegava, era perchè non vi scorgeva verun rimedio. Vi confesso che il progetto, onde mi parlate, mi fa il massimo piacere. Ma poichè trovaste il mezzo che dite, e che, per riuscire, vi fa d’uopo del mio soccorso, ditemi cosa debbo fare, e vedrete se mi saprò adoperare il meglio possibile.
«— Ben mi aspettava,» ripigliò Abu Hassan, «che non m’avreste abbandonato in questa congiuntura che vi risguarda quanto me. Ecco dunque il modo da me immaginato per far in guisa che, nell’angustie in cui siamo, il denaro non ci manchi, almeno per qualche tempo. Consiste in una piccola superchieria che faremo, io al califfo e voi a Zobeide, e la quale, ne son certo, li divertirà e non ci sarà infruttuosa. Ecco qual è la soperchieria di cui intendo parlare: di morire amendue.