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non rimediavano al proselito. Abu Hassan fu di parere di pagar l’oste, e la moglie v’acconsentì; laonde, fattolo venire, gli sborsarono il dovuto, nulla dimostrando dell’imbarazzo in cui stavano per trovarsi allorchè avessero fatto quel pagamento.

«L’oste se ne andò contentissimo d’essere stato pagato in belle monete d’oro, non vedendosene altre nel palazzo del califfo; ma Abu Hassan e Nuzhatul-Auadat non lo furono troppo d’aver votatala borsa. Rimasero in silenzio, cogli occhi bassi, e molto inquieti dello stato, in cui vedeansi ridotti nel primo anno del loro matrimonio.»

La domane, la sultana delle Indie ripigliò il racconto in tal guisa:


NOTTE CCCII


— Sire, Abu Hassan ben si ricordava che il califfo, accogliendolo nel suo palazzo, avevagli promesso di non lasciarlo mancar di nulla. Ma quando considerava d’aver sciacquato in breve tempo le largizioni della sua mano liberale, e non essendo egli d’indole esosa, non voleva nemmeno esporsi alla vergogna di dichiarare al califfo il cattivo uso fattone ed il bisogno di trovarne di nuove. D’altronde, aveva ceduto il suo patrimonio alla madre, appena il califfo lo ebbe trattenuto presso la sua persona, ed era ben lungi dal voler ricorrere alla borsa di lei, a cui avrebbe fatto conoscere, con tal procedere, d’essere ricaduto negli stessi disordini come dopo la morte del padre.

«Da parte sua, Nuzhatul-Auadat, riguardando le liberalità di Zobeide, e la libertà che, maritandola, le