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«A quel grido, suonarono in una volta tutti gli strumenti di musica, e le dame e gli officiali si posero a ballare, cantare e saltare intorno ad Abu Hassan con tal fracasso, che gli produsse una specie di vertigine, la quale fecegli commettere mille follie. Si mise a cantare come gli altri, lacerò il bell’abito da califfo ond’era vestito, gettò per terra il berretto che teneva in testa, e, nudo in camicia ed in mutande, alzossi bruscamente, gettossi fra due dame, e presele per mano, si mise a danzare e saltare con tanta azione, tanto movimento, e contorsioni sì buffonesche e piacevoli, che il califfo non seppe più contenersi nel luogo dove si trovava. La repentina allegria di Abu Hassan lo fece ridere con tal violenza, ch’ei si lasciò andare a rovescio, facendosi udire su tutto lo strepito degli strumenti e de’ timballi, e stette tanto tempo senza potersi frenare, che poco mancò non se ne trovasse incomodato. Finalmente rialzatosi, aprì la gelosia, e sporgendo la testa e sempre ridendo: — Abu Hassan, Abu Hassan,» sclamò, «vuoi dunque farmi morir dal ridere? —

«Alla voce del califfo, tutti tacquero, e lo strepito cessò. Abu Hassan, fermatosi come gli altri, volse la testa dalla parte onde si era fatta udire, e riconobbe il califfo, e nel medesimo tempo il mercante di Mussul. Non si sconcertò per questo; anzi, comprese in quel momento d’essere ben desto, e che tutto l’accaduto era vero e reale, e non un sogno. Prese subito il suo partito, ed entrò nella burla e nell’intenzione del califfo. — Ah, ah!» gli disse, guardandolo con franchezza; «eccovi qua, mercante di Mussul! E che! vi dolete che vi faccia morire, voi che siete la causa de’ maltrattamenti da me fatti a mia madre e di quelli che ho ricevuti io stesso per tanto tempo all’ospitale de’ pazzi; voi che avete tanto maltrattato l’imano della moschea del mio quartiere ed i quattro sceicchi miei vicini;